AMMAZZA CHE PIANTA!

Più ancora della funzione di orto botanico, dell'orto di Città Studi di Milano, salta all'occhio quella di laboratorio a cielo aperto che i ricercatori di varie discipline utilizzano per simulare l'estrema complessità dei fattori ambientali in un ambiente quanto più controllato possibile e per imparare a leggere fenomeni e processi alla luce di ciò che è il sapere di esperti di materie a noi magari sconosciute. All'orto botanico in questione, ecco la presentazione al pubblico di una scena del crimine. O meglio: di una scena del crimine simulata, sporca di foglie di acero campestre, con muschi, edere e terra a ricreare quella che potrebbe essere una situazione reale, il tutto chiaramente lasciato evolvere proprio col fine di studiarla, questa evoluzione. Poi la presentazione della botanica forense, la disciplina che ci permette di leggere una scena del crimine con occhi diversi, quelli del botanico che dei vegetali conosce periodi di riproduzione, ritmi di crescita, natura dei materiali che li compongono. 


L'installazione inaugurata il 20 aprile 2018 all'Orto Botanico Città Studi di Milano.

Marco Caccianiga, vicedirettore dell'orto nonché botanico e professore associato dell'Università degli Studi di Milano, ci spiega il ruolo del botanico presso il LABANOF, Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense, ma soprattutto ci fa ragionare sull'importanza di una figura di raccordo, che, di fronte all'impossibilità di essere onniscienti, è comunque in grado di coordinare vari specialisti (botanici, geologi, entomologi...). Quale figura migliore dello scienziato naturale per fare un po' di environmental profiling? Le variabili presenti in un ambiente esterno sono tanto varie da render necessario l'apporto di quante più discipline possibili, ma soprattutto di qualcuno che le sappia far comunicare tra loro: proprio come in un ecosistema il funzionamento è strettamente legato sì alla biodiversità ma soprattutto alle relazioni che intercorrono fra i vari elementi del sistema, così un ragionamento efficace per ricostruire una scena del crimine ha bisogno della struttura professionale di cui sopra.

Ma tornando al tema botanica forense, come legittimiamo questo curioso binomio? Gli esempi portati da Caccianiga sono tutti relativi a casi di ritrovamenti reali: si tratta in sostanza di valutare caratteristiche legate ai cicli degli organismi (riproduttivi, di dormienza, di crescita) e dell'ambiente circostante (stagioni, piene di fiumi, eventi atmosferici) per ottenere elementi di interesse giudiziario, quindi relativi al quando e al dove. Il botanico è colui che sa valutare la crescita di piante e muschi sui resti, fattore assolutamente utile alla datazione, che sa riconoscere la presenza di diatomee (alghe unicellulari tipiche di laghi e fiumi), sa indicare che tipo di evento può essere correlato alla loro distribuzione su un corpo (cutanea per eventi come piene fluviali che possono aver interessato la zona del ritrovamento, sanguigna per annegamenti) e sa trarre conclusioni sulla stagionalità, sull'età (e quindi sulla datazione) e sulla natura di un qualsiasi materiale vegetale associato a un cadavere (cibo nel tratto digerente, pezzi di legno di corpi contundenti). 

Non ce la siamo sentiti di mettere una foto di ossa vere, per cui abbiamo messo questa che è simpatica.
Credits to eatmybones.com

Per questa disciplina è più che mai evidente la necessità di un laboratorio che possiamo forse definire naturalistico (soprattutto di fronte alla chiara impossibilità di replicare le varie situazioni in maniera sperimentale): è così che sottobosco e stagni dell'orto diventano casa di pezzi di tessuti differenti e di resti animali che nel tempo, in varie modalità, vengono colonizzati e modificati da alghe, muschi, piante e che i ricercatori come Caccianiga studiano questi processi per ottenere preziosissimi dati che danno alla botanica forense gambe con cui camminare.