DI PLASTICA E DI GHIACCIO

 “Plastic Iceberg” by Jorge Gamboa (México), Bienal del Cartel Bolivia BICeBé


Se un convegno come Oceani di plastica e di ghiaccio organizzato da Ilaria Tani presso l'Università degli Studi di Milano Bicocca il 29 marzo scorso (A.D. 2018) si è rivelato una grande fonte di spunti di riflessione e di temi da approfondire, noi di CORE-lab non possiamo che rendicontarlo in questa stessa forma, cercando di lasciarvi una buona dose di curiosità e di fonti a cui attingere per soddisfarla.

Innanzitutto il tema: plastica e ghiaccio. Il convegno si è strutturato in due sessioni, la prima dedicata all'inquinamento da plastiche nei mari e la seconda all'Artide. Purtroppo della seconda parte non siamo riusciti ad assistere che al primo intervento, per cui soltanto di quello parleremo.

L'inizio è dirompente: viene proiettato il cortometraggio Dalla parte del mare, girato da Francesco Malingri, contenente una serie di informazioni sullo stato dell'arte della filiera della plastica che vi riassumeremo in pillole:
Produzione: la plastica è il terzo materiale più prodotto al mondo. Nel 2016 ne son state prodotte 322 milioni di tonnellate, con un incremento del 4% rispetto al 2015.
Utilizzo: i cittadini europei utilizzano in media 100 kg di plastica ogni anno.
Dismissione: in Europa solo il 40% della plastica finisce in discarica. Ogni anno, nel mondo, 10 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare, l'equivalente di un camion al minuto; in Italia, dalle 40 mila alle 50 mila tonnellate annue.

Il cortometraggio (talvolta le immagini son ben più esaustive dei numeri):

Continua Alessandra Savini, docente di geomorfologia marina di Milano-Bicocca che ci parla dei cosiddetti ambienti profondi: essi rappresentano circa il 90% degli oceani, il che li rende il più grande bioma del nostro pianeta. Il 50% di essi ha profondità maggiori di 3000 m e l'esplorazione delle superfici al di sotto di questo livello, con enormi sforzi e ottimi risultati, ha raggiunto solo lo 0,001%. Si tratta insomma di territori tanto vasti quanto misteriosi, che ad ogni ricognizione offrono nuove conoscenze su ciò che è il sistema Terra. Come si colloca il tema dell'inquinamento da plastica in tutto ciò? Ebbene, prima di tutto vediamo come i nostri rifiuti si distribuiscono nella dimensione verticale, una volta in mare: il 15% galleggia, andando in gran parte a costituire zone ad elevata concentrazione di plastiche (come l'ormai famosa Great Pacific Garbage Patch). Un ulteriore 15% si ritrova nella colonna d'acqua, ossia è sospeso al di sotto della superficie. Infine, il 70% è sul fondo. Ci ritroviamo, dunque, a star riempiendo di plastica anche quel 99,999% di fondali profondi tutt'ora sconosciuto. Ora, proviamo a dipingere un quadro della situazione organismi viventi&plastica in questi ambienti. Innanzitutto la ricchezza in biodiversità: in una manciata di ettari esplorati dai ricercatori di Bicocca in 6 ecoregioni marine europee son stati identificati ben 81 nuovi habitat. Altro fatto interessante è la dipendenza degli organismi dalle correnti marine: si è osservato come le colonie di coralli bianchi (coralli di profondità tipici delle aree mediterranee ed atlantiche) si dispongano preferibilmente sui versanti esposti alle correnti dei cosiddetti mounds, rilievi marini alti una ventina di metri e con un diametro di circa duecento. E ora, la situazione plastica: durante le osservazioni non è stato affatto raro ritrovare spazzatura di ogni tipo. È stato osservato come questa si disponga seguendo le correnti, quindi proprio sui versanti popolati dai coralli. La stima effettuata indica che il quantitativo medio di rifiuti su un mound sia equivalente a 3 sacchi pieni. Lo scenario è abbastanza chiaro: habitat biodiversi e ricchi, ancora sconosciuti ma già pieni di spazzatura, praticamente irrecuperabile, che inevitabilmente finisce nella catena alimentare.

Per approfondimenti, ecco una dettagliata review degli impatti delle attività umane sugli ambienti profondi [Ramirez-Llodra et al., 2011].


Sinergie tra gli impatti antropogenici sugli habitat profondi. Credits to Plos One

Terminato l'intervento della professoressa è il turno di Federico di Penta, responsabile delle relazioni internazionali di MareVivo, associazione impegnata nella salvaguardia dei mari, che dipinge un quadro di quella che è la situazione dal punto di vista legislativo. Prima criticità evidenziata è la confusione e la scarsa efficacia delle normative riguardanti i rifiuti solidi presenti in mare: nonostante pratiche virtuose come il passive-fishing-for-litter (che consiste nella raccolta e nel conferimento da parte dei pescatori, a chi di dovere, della spazzatura che inevitabilmente si incastra nelle reti durante la pesca), di fatto non si è creata per i principali utenti del mare una cornice favorevole: da un lato i rifiuti raccolti in mare vengono classificati come speciali (e data la locazione il loro smaltimento non viene considerato di competenza comunale), dall'altro rubano al pescato quel poco spazio presente sulle imbarcazioni. È consuetudine ributtare in mare la spazzatura impigliata nelle reti. Insomma, i rifiuti in mare rappresentano una spesa economica per chiunque debba gestirli, il che fa sì che il conto da pagare venga scaricato sull'ambiente, nell'attesa che ci ritorni: a tal proposito è emblematico il caso degli ftalati, composti organici cancerogeni e interferenti endocrini, presenti nelle plastiche, che tendono ad accumularsi nei tessuti adiposi degli organismi animali.
Passi positivi sono comunque stati identificati nella Legge di Bilancio 2018, la quale prevede un imminente stop ai cotton fioc in plastica e alle microplastiche nei cosmetici (rispettivamente 2019 e 2020, ricordando che l'Italia è produttrice del 60% del make up mondiale) e nella prima strategia europea sulla plastica, la quale prevede la riciclabilità di tutti gli imballaggi del continente entro il 2030 (strategia evidentemente non risolutiva, ma che comunque punta a un qualche miglioramento).

Rifiuti nelle acque di un atollo disabitato nel Pacifico. Credits to Meteoweb.eu

Ultimo intervento della prima parte del convegno è quello di Daniele Moretti, caporedattore di Sky Tg24. Dopo la presentazione della campagna Un mare da salvare, è il momento di un discorso sul metodo giornalistico, più che sulle strategie di comunicazione, la quale è sicuramente resa assai difficile dalla complessità e dalla trasversalità di temi come quelli ambientali. 

È infine l'intervento di Ilaria Tani, organizzatrice dell'evento e docente di diritto internazionale del mare presso Milano-Bicocca, il primo della seconda parte sul convegno, quella dedicata all'Artico.
Viene in buona sostanza presentata la poco conosciuta (e talvolta poco piacevole) geopolitica della regione artica. Riassumendo forse in maniera un po' semplicistica, ci si trova di fronte a cinque nazioni aventi territori oltre il circolo polare artico (Norvegia, Danimarca, USA, Russia e Canada) che negli anni hanno avanzato pretese, spesso incompatibili fra loro, sui territori di quello che di fatto è un mare coperto di ghiaccio, il quale offre ottime opportunità di sfruttamento di un gran numero di risorse: dal pesce, agli idrocarburi, alle rotte commerciali. Di fronte a tanta ricchezza che i cambiamenti climatici renderà disponibile, sarà per noi tutti una grande prova di saggezza il decidere di non abusarne. 

Diritti economici esclusivi e pretese dei cinque Stati artici. Credits to dabrownstein

Non si può certo dire di poter dormire sonni tranquilli, pensando alle attività dell'uomo in mare. Anche se è grande il senso di impotenza per tutto ciò che succede in quella che è al contempo una terra di nessuno e una terra di tutti, non possiamo certo evitare di renderci quanto più consapevoli possibile di ciò che sono le conseguenze delle nostre scelte e provare a comportarci responsabilmente. Cosa dobbiamo fare lo sappiamo: informarci, partecipare, fare scelte non sempre tanto comode... insomma, prenderci a cuore il nostro pianeta.