CHE FINE HAN FATTO GLI ANNI '60?


Un miracolo nostrano

Il decennio tra gli anni '50 e '60 sono stati gli anni ruggenti per il nostro paese, ormai si sa. Erano gli anni del cosiddetto miracolo economico italiano, un termine attraverso il quale si cercava di corrispondere a quanto stava accadendo negli Stati Uniti nello stesso periodo, per far vedere insomma che c'eravamo anche noi; tuttavia, il nostro momento di gloria ha avuto caratteristiche ben diverse dal  baby boom, a cominciare dal fatto che in Italia non ci fu un vero e proprio incremento delle nascite e che, se negli Stati Uniti ogni famiglia benestante si stava dotando di elettrodomestici e di aria condizionata, in Italia era ancora fortemente diffusa una cultura contadina, per la quale avere un'automobile e un televisore per ciascun condominio era già sufficiente.

Città e migrazioni: gli anni '30

Furono, invece, anni di grandi movimenti, sia di capitali che di persone, che crearono il sostrato su cui si svilupparono poi quelle stesse creature che, ancora oggi, caratterizzano il nostro quotidiano: le città. E cominciamo proprio da un dato: a dare un grosso contributo al passaggio dai borghi alle metropoli furono le migrazioni. Per come durante il Fascismo si era pensato lo sviluppo dei territori, in ogni regione erano stati identificati quelli che oggi definiremmo hub, ossia centri di influenza in grado di portare avanti a livello operativo un segmento industriale specifico. Questo aveva generato una prima migrazione interna, molto contenuta, di carattere prevalentemente intra-regionale: ad esempio, tra il 1936 e il 1931 la popolazione di Bolzano, dove stava fiorendo l'industria estrattiva e siderurgica, aumentò di molto, mentre si svuotò la vicina provincia di Trento.

Moto da luogo, moto da luogo e stato in luogo: gli anni '60

Gli anni '60 radicalizzarono questa tendenza, rendendo i flussi migratori interni decisamente più corposi; bisogna poi stare attenti a considerare la migrazione interna come una migrazione semplice: si trattava, infatti, dell'incontro tra culture davvero diverse, nel modo di vivere la religione, nella lingua, nei valori, nei modi di socializzare, ossia di uno spostamento che portò con sé non poche complicazioni. Osservando le Regioni, possiamo identificarne tre tipi: di moto a luogo, di moto da luogo, di stato in luogo. Tra le Regioni moto a luogo:

  • Piemonte, sede della FIAT (la popolazione crebbe del 107% tra il 1951 e il 1961, del 125% tra il 1961 e il 1971);
  • Lombardia, sede di numerose industrie, quali la Marelli, la Pirelli, la Falck, la Beretta, l'Alfa Romeo, l'Innocenti (la popolazione lombarda aumentò del 121% tra il 1951 e il 1961, e del 144% tra il 1961 e il 1971); 
  • Liguria, caratterizzata da un'intensa attività portuale (la popolazione aumentò del 103% nel decennio tra il 1951 e il 1961);
  • Provincia autonoma di Bolzano (la popolazione aumentò del 113% tra il 1951 e il 1961 e del 102% nel decennio successivo);
  • Lazio (la popolazione aumentò del 171% sia nel decennio tra il 1951 e il 1961 che tra il 1961 e il 1971). 
Tra le Regioni moto da luogo:
  • Abruzzo (il tasso di diminuzione nel primo decennio è il 57%, nel secondo il 33%);
  • Molise (il tasso di diminuzione tra il 1951 e il 1961 è del 127%, tra il 1961 e il 1971 il 112%);
  • Basilicata (con un tasso di crescita negativa tra il 1961 e il 1971, pari al 66%);
  • Calabria (che decresce del 28% tra il 1961 e il 1971).
Le altre Regioni, che hanno un tasso di crescita basso, possono essere considerate Regioni stato in luogo, dalle quali si esce poco e nelle quali si entra poco. È interessante notare come, in alcune di queste, la crescita della popolazione vada diminuendo di decennio in decennio a partire dalla fine del Fascismo, per cui si può pensare che siano Regioni che hanno ricevuto negli anni '30 una spinta allo sviluppo basata sull'economia rurale, andata scemando nel tempo; si pensi alla coltivazione del tabacco in Campania, o a quella degli ulivi in Puglia. 

E le città?

Le città furono protagoniste del cambiamento durante il ventennio tra gli anni '50 e gli anni '70: osservando la cartina di Istat qui sotto, possiamo osservare come le zone più rosse, che sono quelle cresciute maggiormente in termini di popolazione, sono proprio le città più grandi, quelle destinare ad acquisire il titolo di metropoli: Roma, Milano, Torino, Bologna, Cagliari, Bari, Napoli; non sono le sole però, perché accanto a queste città più grandi c'è uno sciame di città minori, come anche Brindisi, Sondrio, Parma, Urbino ecc. Se osserviamo lo sviluppo dei comuni italiani di diversa grandezza, possiamo notare che sono pressoché raddoppiati di numero i borghi molto piccoli (sotto i 500 abitanti) e le città medio-grandi (tra i 100mila e i 250mila abitanti), il che sta a significare che le città di dimensioni medio-piccole si sono svuotate o, comunque, hanno smesso di crescere: nella cartina, questo è evidente nel colore blu assunto da tutta la zona appenninica. 

In conclusione

Cercando di tirare le fila: possiamo dire che il miracolo economico italiano abbia tratto giovamento da una buona base demografica, ma che il merito non sia stato dei decisori politici dell'epoca, bensì di quelli dei trent'anni precedenti, e questo deve far riflettere. In secondo luogo, l'assunzione di un modello di sviluppo preso dagli Stati Uniti (ma anche dall'ex Unione Sovietica), ossia da Stati aventi la dimensione quasi di un continente, ha favorito forme di consumo di suolo e di polarizzazione tra città e sobborghi che ancora oggi costituiscono un problema ambientale, sociale ed economico importante. La cultura che guidò allora la spinta alla crescita, è la stessa che oggi fatica a rimediare agli errori commessi da un'industrializzazione a volte davvero un po' selvaggia, in un territorio, quale è quello italiano, che è come una casa piena di salvadanai: sono tante le fonti di ricchezza, ma facilmente esauribili; uno scenario molto diverso dal quel grosso deposito di Donald Duck che sono gli Stati Uniti. Sarebbe stato meglio, sin dall'inizio, pensare a una via italiana di sviluppo. Oggi, questo compito è una priorità.

Fonte: Istat, I percorsi evolutivi dei territori italiani