Di fronte alla possibilità di uno smantellamento radicale dello Stato Sociale (non vogliamo abusare della lingua inglese, ma sì, stiamo parlando del Welfare State) si è corsi letteralmente ai ripari. Negli ultimi anni c'è stato un calo degli investimenti per gli enti locali, a favore della spesa pensionistica connessa all'invecchiamento della società (e all'assenza di un ricambio generazionale). Tuttavia, come è tipico per noi italiani, popolo resiliente e capace di adattarsi alle difficoltà, non siamo rimasti col cerino in mano: come mostra il rapporto sul Secondo Welfare, sono in crescita quelle forme di tutela basate sulla prossimità, ossia derivanti da quei contesti - aziendali, assicurativi, bancari - ai quali apparteniamo direttamente.
Questo sistema, però, non è il solo a sopperire alle mancanze (alle trasformazioni?) dello Stato Sociale. Esiste, infatti, un sistema di solidarietà diffusa, nascosta, informale, che permea i quartieri, ed è basato su quello che gli anglosassoni chiamano neighborhood, vicinato. Si tratta di un sistema di azioni non organizzato, spontaneo, con tutti quei tratti grezzi che derivano dall'avere una natura naïf, difficile da intercettare senza che si trasformi in uno stilema. Si parla di sostegno nel trovare un lavoro, di aiuto economico a pagare una bolletta, di disponibilità a ospitare nei giorni più freddi: azioni connesse al quotidiano, informali, che nascono nei quartieri per le persone del quartiere.
L'azione Welfare di Quartiere, che può essere considerato come un progetto interno al cappello di Via Padova, la strada che unisce, ha come obiettivo la mappatura di simili forme di solidarietà, al fine di mostrare le connessioni esistenti tra persone e la capacità che si esercita, nella dimensione informale e privata, di trascendere qualunque forma di razzismo o discriminazione. Il suggerimento che arriva da una simile operazione è di ampliare innanzitutto lo spazio in cui si possa dare una lettura anche pre-politica del welfare, in quanto forma anche spontanea dell'agire locale, ma anche di tentare di mettere in rete (con delicatezza, per evitare che svaniscano nello stesso momento in cui le si tocca) le forme di aiuto.
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Photo by Nina Strehl on Unsplash |
Questo sistema, però, non è il solo a sopperire alle mancanze (alle trasformazioni?) dello Stato Sociale. Esiste, infatti, un sistema di solidarietà diffusa, nascosta, informale, che permea i quartieri, ed è basato su quello che gli anglosassoni chiamano neighborhood, vicinato. Si tratta di un sistema di azioni non organizzato, spontaneo, con tutti quei tratti grezzi che derivano dall'avere una natura naïf, difficile da intercettare senza che si trasformi in uno stilema. Si parla di sostegno nel trovare un lavoro, di aiuto economico a pagare una bolletta, di disponibilità a ospitare nei giorni più freddi: azioni connesse al quotidiano, informali, che nascono nei quartieri per le persone del quartiere.
L'azione Welfare di Quartiere, che può essere considerato come un progetto interno al cappello di Via Padova, la strada che unisce, ha come obiettivo la mappatura di simili forme di solidarietà, al fine di mostrare le connessioni esistenti tra persone e la capacità che si esercita, nella dimensione informale e privata, di trascendere qualunque forma di razzismo o discriminazione. Il suggerimento che arriva da una simile operazione è di ampliare innanzitutto lo spazio in cui si possa dare una lettura anche pre-politica del welfare, in quanto forma anche spontanea dell'agire locale, ma anche di tentare di mettere in rete (con delicatezza, per evitare che svaniscano nello stesso momento in cui le si tocca) le forme di aiuto.