NON RASSEGNIAMOCI, PIUTTOSTO: RASSEGNA!

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Fermi tutti: questa è una rassegna!

Per qualche oscura ragione abbiamo deciso di adottare, nella nostra pratica quotidiana di lavoro, un approccio scientifico. Che vuol dire, in soldoni: quando dobbiamo intervenire, in ambito sociale, o educativo, o di comunità, o ambientale, o ecosistemico… quando, insomma, siamo chiamati a fare qualcosa, tipicamente non ci sentiamo illuminati dalla luce divina della competenza, ma:

  1. prima ascoltiamo;
  2. poi studiamo
  3. infine proponiamo soluzioni.

In particolare, il nostro studio è orientato da quanto è emerso in fase di ascolto come problema, ed è diretto da una ricerca di letteratura specialistica sul tema che ci serve per impacchettare, prima di agire, un modello che ci aiuti. Una rassegna della letteratura, che sia essa sistematica, o scoping, o narrativa: è importante farla, prima di partire.

Strano ma vero

Sembra banale, ma non lo è. Soprattutto nell'ambito del lavoro sociale, c'è una tale spinta all'azione e una tale riduzione degli spazi di riflessione e studio da rendere il lavoro educativo e quello sociale una specie di procedimento a tentoni: «Ho studiato che si deve far così in questi casi», oppure «Una volta ho visto funzionare questo», che diventano generalizzazioni, stili d'azione fissi, incapaci di calarsi nelle realtà specifiche e, spesso, di ottenere i risultati desiderati.

Secondo noi, questo è abbastanza grave. Perché nei progetti, siano essi educativi o di comunità, non stiamo parlando di un'avventura personale di educatori o di operatori sociali, dove chiunque ha il diritto di provare il brivido di partire senza mappa e prenotare gli ostelli; stiamo parlando, invece, di ambiti in cui dobbiamo mostrare in tutta la sua profondità ed efficacia la nostra bravura in quanto guide turistiche.

Ci vuole umiltà

Ci vuole umiltà, per potersi arrogare il lusso di dire "Ne so". Il nostro lavoro, che sta sulla frontiera tra lavoro psicologico, educativo, organizzativo, di comunità e ambientale, ha bisogno che, come prima cosa, si ammetta di non avere tutti gli strumenti per affrontare le complessità che ci mostrano i nostri clienti. Fermarsi, quindi, e ascoltare: non interrompere quando il cliente ci parla. Dare per scontato che sia lui, o lei, ad avere in sé le risposte che servono a risolvere il suo problema. Studiare per trovare i mezzi più giusti per lasciare emergere questo potenziale. Solo allora potremo godere del privilegio di sentirci un po' bravi.