LA VORACITÀ DELLA PROVINCIA

Martin Parr - By the seaside


Come abbiamo appreso in occasione della Green Week dello scorso anno, grazie al caffè scientifico tenuto dal presidente di Antropolis Francesco Bravin, il rapporto che l’essere umano intrattiene con l’ambiente naturale è mediato dalla cultura. Per questo non dobbiamo stupirci se nel 2019, ossia quasi all’affacciarsi di quel 2020 su cui molti hanno riposto speranze o timori, accade che nei piccoli villaggi dell’hinterland milanese una piccola stradina di campagna, che dava accesso a campi coltivati, venga rasa al suolo per costruire una strada che, sulla carta, dovrebbe essere una pista ciclabile, ma che non si capisce perché venga dotata di fognature e cablaggi che poco hanno a che vedere con il paesaggio circostante e la destinazione d’uso (dichiarata).

Del resto proprio gli autori di questo post, Armando Toscano e Sebastian Brocco, hanno analizzato sulla Rivista Giuridica dell’Ambiente (2019) i percorsi politici e realizzativi tortuosi che vanno dalle buone intenzioni alle azioni. Perché se in Italia ogni due ore viene costruita una nuova piazza Navona, e se ogni secondo vengono coperti con asfalto o cemento due metri quadrati di territorio, e se quasi un quarto del nuovo consumo di suolo tra il 2016 e il 2017 è avvenuto all'interno di aree soggette a vincoli paesaggistici, evidentemente i decisori politici hanno delle responsabilità.

Come prima cosa, però, bisogna fare un ragionamento sul fatto che si tratti per davvero di buone intenzioni. Nel caso della pista ciclabile sopracitata, non è dato sapere se sarà o meno il cavallo di troia che porterà all'urbanizzazione di zone oggi a vocazione agricola. Non si può neanche dire che sia la peggiore delle opere: da quel poco che è inferibile dai documenti disponibili (ed effettivamente accessibili) sul sito del Comune interessato, si scopre che la pavimentazione sarà in calcestre, che presenta una permeabilità vicina al 90% (un buon valore, dunque).

“Come diceva l'antropologo Bravin, esistono culture per cui il bel paesaggio è quello in cui vi siano chiari segni del dominio dell’uomo: orizzonti disboscati, strade, pozzi…”


Il problema risiede tuttavia nella fase di cantiere che ha visto fasce boscate di una lunghezza complessiva di quasi 700m, elemento con potenzialità di connessione ecologica del vicino Parco di Interesse Sovracomunale, essere rase al suolo: è difficile pensare a una futura rinaturalizzazione dell'area, che fino a qualche mese fa ospitava lepri, poiane e specie vegetali planiziali oggi sempre più rare. Tutto intorno, campi a colture intensive a vocazione fortemente industriale: una vera mannaia per la biodiversità, che quindi vedeva in formazioni come quella fascia boscata uno dei pochi habitat ancora ospitali. C'è quindi da chiedersi come mai la questione ecosistemica sia presa così sottogamba in un territorio a cui rimane ancora qualcosa da proteggere, mentre quella viabilistica venga presa in grande considerazione.



Come diceva l'antropologo Bravin, esistono culture per cui il bel paesaggio è quello in cui vi siano chiari segni del dominio dell’uomo: orizzonti disboscati, strade, pozzi… Possiamo dire che la furia costruttrice degli Italiani durante gli anni del boom economico sia stata guidata ampiamente da questo tipo di cultura; le parole di Dino Buzzati che celebrano l’arrivo della potenza modernizzatrice dell’industria sono emblematiche:

«Guardate: un paesaggio classico, il mare, la riva deserta, gli ulivi, il sole; le cicale, la pace, la sonnolenza, tutto rimasto immobile e intatto dai tempi della Magna Grecia. Perché gli ulivi, il sole, le cicale significavano sonno, abbandono, rassegnazione e miseria, e ora qui invece gli uomini hanno costruito una cattedrale immensa di metallo e di vetro per scatenarvi dentro il mostro infuocato che si chiama acciaio, e che significa "vita".»

Verrebbe però da chiedersi se davvero tutto questo abbia a che vedere con l’oggi, e cioè con un mondo che sta prestando sempre maggiore attenzione all’ecologia, alla sostenibilità ambientale e al promuovere una differente idea di progresso. Ne sia esempio fra tutti Milano, che sta portando avanti una rivoluzione gentile nei quartieri, modificandone la viabilità a favore della lentezza, creando piazze dove prima c’erano pericolosi incroci, equilibrando il rapporto di forza tra automobili e biciclette.

Il punto è proprio questo: Milano. Milano in quanto centro, luogo di produzione di cultura innovativa, in grado di assimilare i temi ambientali (Doyle e McGregor, 2015); centro che entra in rapporto dialettico con la periferia e, che nel caso specifico è rappresentata dalla provincia. Le idee che sottostanno alla rivoluzione verde, chiamata Onda Verde degli attivisti che la sostengono, non sono una coltre che si è posata su tutta la società contemporanea, bensì è un insieme di valori, credenze, atteggiamenti che si distribuiscono seguendo in parte i confini dei gruppi sociali (Richardson e Rootes, 2006).

Rimane però da domandarsi che ruolo debbano avere i decisori in ambiti così delicati, soprattutto se parliamo di decisori comunali, dato che i Comuni si sono rivelati strategici nel promuovere il cambiamento; la fatica sta proprio nella promozione di un management capace di affrontare le sfide del presente puntando alla qualità delle risorse umane e del processo decisionale (Sancino, 2010), più che alla quantità del consenso elettorale.

Bibliografia

Brocco, S., Toscano, A. [2019]. Gestione Ecosistemica del Verde Urbano, Rivista Giuridica dell'Ambiente.

Doyle, T., McEachern, D., & MacGregor, S. (2015). Environment and politics. Routledge.

Richardson, D., & Rootes, C. (Eds.). (2006). The Green challenge: the development of Green parties in Europe. Routledge.
Sancino, A. (2010). L’attuazione del paradigma della public governance negli enti locali: implicazioni per il management. Economia Aziendale Online, 1(1), 49-58.